JOSEPH RATZINGER

CANTARE CON GIUBILO

da Alfred Läpple, Benedetto XVI e le sue radici, Marcianum press, p.110-111.

 

 

 

 

 

 

 

 

Al terzo Dombergsingen (1953) nel Seminario sacerdotale di Frisinga, fu il mio successore come docente a pronunciare le parole della meditazione teologica. Nel luglio del 1953 aveva conseguito il titolo di dottore in teologia con una tesi su Agostino. Dal suo lavoro su quel grande padre della Chiesa trasse lo spunto per presentare un’interessante e quasi sconosciuta storia dello jodel bavarese, con espresso riferimento a un testo agostiniano.

 

… guardiamo come, ad esempio, in questi canti d’Avvento Cristo sia per così dire immesso nella nostra terra e nel nostro popolo, come in questi canti egli per così dire si aggiri: l’antichissimo messaggio, la “parola” è tornata realtà, ha di nuovo assunto “carne”. Se noi oggi riscoprissimo che l’importante è che la parola divenga sempre di nuovo realtà, che assuma “carne”, questa sera non renderemmo un cattivo servizio. Con questo, la cosa principale sui canti di stasera sarebbe stata detta. Ma vi sono anche dei canti senza parole che noi Bavaresi chiamiamo “Jodler” e sui quali vorrei fare ancora un’osservazione – o piuttosto non io, ma lascio la parola al più grande teologo della Chiesa occidentale, Sant’Agostino. Infatti egli conosce lo Jodler. Lui parla di “jubilus” ma non c’è dubbio che intenda la stessa cosa: questo fuoriuscire di una gioia senza parole, che è così grande da infrangere le parole. Egli ne parla relativamente spesso: già io conosco otto luoghi delle sue prediche in cui tratta l’argomento. Voglio leggervi uno di essi, che mi sembra essere il più bello. Interpreta il salmo 32 e, giunto al versetto 3: “Bene cantate ei cum jubilatione – Cantatelo (cioè il Dio eterno) bene con giubilo”, egli continua: ma cosa significa cantare con “jubilatio”? Significa: non poter esprimere a parole, non poter dire il canto che ti canta nel cuore. Se infatti i lavoratori al raccolto nel campo o alla vendemmia nella vigna sono sempre colti da gioia giubilante, accade certo che non trovino più parole per la sovrabbondanza della gioia. Allora rinunciano alle sillabe e alle parole e il loro canto diviene jubilus. Lo jubilus è infatti un suono che dimostra che il cuore vuole annunciare ciò che mai riuscirebbe a dire. E a chi è dovuto tale jubilus più che a colui che è “indicibile” (Dio)? Indicibile è difatti colui che le tue parole non possono esprimere. Ma se non puoi dirLo e tuttavia non puoi tacere di fronte a Lui, cosa ti resta, se non giubilare? Cosa ti resta se non che il tuo cuore gioisca senza parole e l’immensa grandezza della tua gioia rompa tutti i confini della sillabe? “Cantate al Signore con giubilo”. Perché: “beatus populus qui scit jubilationem – beato il popolo che sa giubilare” (Sal 88,16).

 

Joseph Ratzinger, 5 dicembre 1953 a Frisinga